Sezione Archeologia
ROMA - CREATURA LEGGENDARIA -
"Sed debebatur, ut opinor, fatis tantae origo urbis maximique secundum deorum opes imperii principium", Livio, Ab Urbe condita, I, 4, 1.

"Ma era destinato dai fati, come io credo, l'origine di una così grande città e la fondazione dell'impero più importante, subito dopo la potenza divina".



Le pendici nord-orientali del Palatino viste dal Colosseo.
In primo piano la Meta Sudans e l'Arco di Costantino.


      La questione della nascita di Roma continua a rappresentare uno dei temi più discussi, come dimostrato dai più recenti scavi archeologici nell'area tra Palatino e Via Sacra che hanno riproposto il tema sotto un'altra forma: è stato un atto di fondazione a dare origine alla città o essa ha seguito un naturale processo di formazione?
      Questo dibattito ha una lunga storia, in primo luogo perché è stato da tempo riconosciuto che Roma era frequentata molto prima della tradizionale data di fondazione, il 753 a.C., come dimostrano i ritrovamenti di ceramica della prima età del ferro e di ceramica greca nell'area sacra di S.Omobono, dove intensa era la frequentazione in relazione con il vicino scalo fluviale sul Tevere



L'area sacra di Sant'Omobono fotografata dall'ingresso agli scavi.





L'area sacra di sant'Omobono, lato via Petroselli.


      D'altra parte la stessa tradizione romana ci fornisce implicitamente indicazioni dell'epoca pre-romulea nelle figure di Ercole, Evandro ed Enea. Sono questi, infatti, alcuni degli eroi della mitologia greca che ci dimostrano come l'Urbe fosse in stretto contatto con il mondo greco ben prima dell'VIII secolo a.C.
      Evandro, celebrato da Virgilio come colui che offrì ad Enea l'aiuto necessario a fronteggiare Turno, re dei Rutuli di Ardea, era un re dell'Arcadia, assai stimato nella sua terra d'origine, il quale si era avventurato per mare dirigendosi verso il Lazio, mèta indicatagli da un oracolo, precisamente là dove un giorno sarebbe sorta Roma. Qui, dopo aver costruito le capanne nella parte più bassa del colle che sarà chiamato Palatino, diede al nuovo insediamento lo stesso nome della città di origine, Pallanteum.
      Ercole giunse da queste parti durante il regno di Evandro, tornando dall'ottava delle sue dodici fatiche; il suo arrivo sulle rive del Tevere nell'area che prenderà il nome di Foro Boario, luogo destinato a diventare approdo di navi e centro di scambi commerciali, rappresenta una conferma dell'esistenza di contatti col mondo orientale in epoca protostorica. Enea è passato alla tradizione come eroe connesso con l'origine dei Latini e la migrazione troiana è in ogni caso collegata con la fondazione di Roma, in quanto Romolo venne ritenuto discendente di Enea.
      Costui, in fuga da Troia in fiamme, fu tra i tanti esuli che tra il XII ed il X secolo a.C. partì in cerca di nuovi lidi verso Ovest, portando con sé il Palladio, statua raffigurante la dea Atena, e i Penati, simulacri degli antenati che saranno simbolo del legame tra Troia, città orientale, e Roma, sua figlia ideale in Occidente.
      La maggior parte degli autori romani inserì un lungo intervallo temporale tra Enea e Romolo e pose la data della fondazione della città nell'VIII secolo a.C., dato confermato da recenti campagne archeologiche, le quali hanno visto come teatro le pendici nord-orientali del Palatino



Le pendici nord-orientali del Palatino fotografate dall'Arco di Costantino.





Le pendici nord-orientali del Palatino, lato Via di San Gregorio.


esse hanno riportato alla luce un muro attorno alla base del colle in questione, risalente appunto alla seconda metà dell'VIII secolo. Tale muro sarebbe da interpretare come un recinto simbolico e sacro, quindi il prodotto di un atto di fondazione deliberato1. Tracciare questo "confine" indicava un'azione volontaria di delimitazione del proprio spazio rispetto a qualcosa di esterno: si può dunque parlare di una comunità che avrebbe raggiunto e acquisito una coscienza di sé tale da sentire il bisogno di auto-definirsi con un atto politico "ufficiale".
      Gli storici antichi, nel raccontare il rituale di fondazione, concentrano la loro attenzione sulla descrizione del momento in cui veniva tracciato il sulcus primigenius, il solco primordiale. Plutarco narra con dovizia di particolari il modo in cui il fondatore aveva tracciato il perimetro della futura città e determinato il limite su cui sarebbero state innalzate le mura, con l'aiuto di un aratro aggiogato ad una coppia di buoi2.
      A tale proposito Catone, nel I libro delle Origines (II secolo a.C.), descrive la procedura che al suo tempo i Romani, richiamandosi a ciò che aveva compiuto Romolo, adottavano ogni volta che deliberavano la "nascita" di un nuovo sito: "I fondatori di una città aggiogavano un toro a destra ed una vacca dalla parte interna…Con il capo coperto da un lembo della toga rimboccata essi tenevano il manico dell'aratro piegato in modo da far ricadere le zolle all'interno".
      Egli riporta inoltre il particolare secondo cui in questo preciso momento venivano segnati anche i punti in cui sarebbero state collocate le porte, sollevando l'aratro là dove si intendeva interrompere la linea delle mura. Veniva inoltre apprestata una fascia esterna alla zona abitata, protetta dalle mura, su cui non si poteva edificare: il pomerium, che come indica l'etimologia (post murum), era situato dietro il muro.
     
      In tal modo, ancor prima che la stessa cinta muraria venisse costruita, la città veniva delimitata e racchiusa entro un confine attraverso un rituale sacro: esso era inviolabile e la leggenda della fondazione dell'Urbe lo indica molto bene. Quando infatti Remo, furioso per aver subìto una sconfitta da Romolo - essi infatti avevano gareggiato per appurare chi dei due sarebbe divenuto il fondatore - osò varcare il solco che il fratello aveva appena scavato, questi lo uccise dicendo: "Così d'ora in poi muoia chiunque varcherà le mie mura" (Livio, Ab urbe condita, I, 7, 2).
      La morte brutale del gemello sta ad indicare che anche quando non esisteva ancora un elemento "materiale" che segnava una frontiera, l'atto che aveva portato a stabilire il limite di una città era di per sé sufficiente a conferire al territorio delimitato uno statuto particolare.
      Il brano di Catone precedentemente citato trascura un particolare assai importante su cui si soffermano altri autori, tra cui Plutarco3: si tratta della escavazione del mundus, una sorta di pozzo costruito al centro della città, che nel caso particolare di Roma sarebbe da identificare nel cosiddetto umbilicus urbis, l'ombelico della città situato nel Foro Romano, non lontano dall'area del Comizio



L'Umbilicus Urbis nel Foro Romano, lato nord ovest.





L'Umbilicus Urbis nel Foro Romano,lato sud ovest.


      E' rispetto ad esso che veniva tracciata in un secondo momento la linea del pomerium. Nel rituale di fondazione descritto da queste fonti, nel mundus si gettavano delle offerte. Esso d'altra parte continuava a possedere una valenza religiosa nella vita della città: tale cavità sotterranea infatti veniva aperta per tre giorni all'anno a significare che le anime dei defunti avevano libero accesso alla terra dei vivi.
      Ciò dimostra dunque come il mundus assolvesse ad una funzione di comunicazione con il mondo dei morti e di tutte le altre entità che abitavano le profondità della terra.
      Tuttavia questa cavità era in rapporto non soltanto con ciò che stava sotto terra ma anche con ciò che stava sopra, ossia il cielo, la dimora degli dèi, essendo dunque un mezzo di comunicazione "in verticale", sia verso gli dèi celesti sia verso quelli infernali. La sua creazione al momento della fondazione della città indica perciò la necessità che una comunità di futuri cittadini ha di essere messa in rapporto con il mondo divino nella sua totalità.
      Ciò si inserisce nel valore religioso che il rituale di fondazione possedeva e che rendeva la città "inaugurata": l'escavazione del mundus e del solco primigenio erano subordinati al consenso preliminare dato dagli dèi, che andavano consultati prima di intraprendere un atto così importante4.
      Questo avveniva con la presa degli auspici: un augure, membro di un collegio sacerdotale preposto a tale funzione, delimitava con l'aiuto di un bastone ricurvo, il lituus, una parte di cielo detta templum, tempio appunto, che costituiva il suo campo di osservazione del volo degli uccelli. 'Auspicio' deriva infatti da avis spicere, osservare gli uccelli, i quali muovendosi nella sede degli dèi celesti col loro volo avevano il compito di indicarne la volontà agli uomini.
      Al momento della fondazione di Roma ebbe luogo una presa degli auspici che vide i gemelli in competizione per sapere chi dei due sarebbe stato il fondatore destinato dagli dèi, colui che in virtù di uno speciale favore da loro accordato avrebbe dato forma, simbolicamente e materialmente, ad un insediamento urbano.
      Le vicende sono note: Remo vide per primo sei avvoltoi ma quasi nello stesso istante Romolo ne avvistò ben dodici. Sarà dunque quest'ultimo il prescelto. Questa parte del racconto servì per spiegare l'ira di Remo ed introdurre la scena dello scontro fratricida. Con questo atto estremo, bagnato del sangue di Remo, nacque Roma 2760 anni fa.
     
   Testo: Raffaella La Marra
   Foto: Emanuele Bredice




   1Esso costituiva una difesa avanzata, in quanto il Palatino poteva essere protetto efficacemente da una cortina più interna, sulla cresta del colle. Insieme al cosiddetto "muro di Romolo" è venuta alla luce anche la Porta Mugonia ed un gruppo di oggetti interpretati come deposito di fondazione della porta stessa.
  
   2Plutarco, Vita di Romolo, 11, 3-5: "L'ecista collega all'aratro un vomere di bronzo, a cui ha soggiogato un bue e una vacca e li guida personalmente, tracciando un solco lungo i confini; è compito di quanti lo seguono rivoltare le zolle all'esterno, sollevare l'aratro e controllare che nessuna di esse rimanga fuori dal tracciato. Con questa linea segnano dunque i confini del muro urbico e lo chiamano in forma sincopata pomerium, cioè sito collocato dietro il muro o dopo il muro. Nel punto in cui pensano di collocare le porte rimuovono il vomere e sollevano l'aratro, lasciando un intervallo di spazio".
  
   3Plutarco, Vita di Romolo, 11, 1-2: "…venne scavata una fossa circolare intorno all'attuale Comizio, nella quale furono deposte offerte votive di tutto ciò che risultava adatto secondo le consuetudini e necessario secondo natura. Infine ogni abitante portò una piccola porzione della propria terra d'origine e la gettò nella fossa, mescolandola insieme con le altre. Chiamano questa fossa con lo stesso nome con cui indicano il cielo: mundus".
  
   4Ovidio, Fasti, 4, 830-836: " '…la mia opera sorga con il vostro auspicio. Duri a lungo la sua potenza sul mondo conquistato e siano a lei sottomessi l'Oriente e l'Occidente'. Egli (Romolo) pregava e Giove espresse l'augurio con un tuono a sinistra e scagliò un fulmine dalla parte sinistra del cielo. I cittadini, lieti del presagio, gettavano le fondamenta e in brevissimo tempo già sorgevano le nuove mura".



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Raffaella La Marra
    Laureata in Archeologia e Storia dell'Arte Greca e Romana all'Università "La Sapienza" di Roma. Ha collaborato a diversi progetti di scavo e ricognizione nel parco archeologico di Veio ed ha svolto uno studio su reperti conservati nel Museo della Centrale Montemartini a Roma che sono diventati oggetto della sua tesi di laurea.
    Ha lavorato presso le Case romane del Celio come guida turistica ed al centro servizi accoglienza del Colosseo e del Palatino.
    Da Luglio 2006 collabora con le riviste on line "Scienza on line", "Archeomedia" e "Auditorium". Un suo articolo è stato pubblicato anche sulla rivista cartacea "Mondomacchina".
    Svolge traduzioni dall'Inglese all'Italiano.





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